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Microplastiche e nanoplastiche: una minaccia invisibile, dagli effetti ancora inesplorati sulla nostra salute.

Sabrina Soffientini, Responsabile Comunicazione Federconsumatori Nazionale ed esperta CTS OpenCorporation

Si parla sempre più spesso di microplastiche e nanoplastiche, quelle piccole particelle di plastica che inquinano i mari, gli oceani e interi ecosistemi.

Hanno un diametro compreso tra i 330 micrometri e i 5 millimetri, ma si fatica ancora a misurarne la pericolosità per la salute dell’uomo e dell’ambiente.

La produzione di plastica ha conosciuto una crescita di oltre il 38% negli ultimi 10 anni, ecco perché sono aumentati i rifiuti contenenti tale materiale: secondo l’ultimo rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep) ogni chilometro quadrato di oceano contiene in media 63.320 particelle di microplastica. Il Mediterraneo è uno dei mari più inquinati al mondo: qui si concentra il 7% delle microplastiche a livello globale.

L’Unep ha evidenziato come il problema della plastica nei mari e negli oceani tra le sei emergenze ambientali più gravi: in mancanza di interventi, entro il 2050 ci sarà più plastica che pesce nei nostri mari.

In mare queste sostanze vengono ingerite in particolare da plancton, invertebrati, pesci, gabbiani, squali e balene, con la conseguenza che il 15-20% delle specie marine che finiscono sulle nostre tavole contengono microplastiche (dati Ispra), con gravi rischi dal punto di vista della sicurezza alimentare.

La maggiore fonte di esposizione alle microplastiche per l’uomo è rappresentata dalle specie ittiche che vengono consumate per intero come i molluschi, alcuni crostacei e piccoli pesci, dal momento che il tratto gastrointestinale è l’area del pesce ove si ritrova gran parte delle microplastiche. È stato stimato che un consumatore europeo di molluschi potrebbe assumere fino a 11.000 micro-frammenti di microplastiche l’anno.

Altri prodotti alimentari in cui sono state rilevate microplastiche sono zucchero, miele, sale, birra e acqua potabile. Nel caso del miele le microplastiche disperse nell’aria in seguito alle piogge si depositano sui fiori, per poi essere incorporate nei pollini e quindi trasportate dalle api negli alveari. Una ricerca ha inoltre evidenziato una contaminazione significativa in una birra tedesca, attribuita a una contaminazione atmosferica in fase di produzione. I consumi annuali massimi pro-capite di microplastiche sono stimati inoltre in 37-1.000 microplastiche dal sale marino e 4.000 dall’acqua di condotta. Alcune analisi hanno rilevato, infatti, la presenza di microplastiche in natura e nei sistemi idrici pubblici, nonché nell’acqua che sgorga dal rubinetto di casa.

A quella di natura alimentare si affianca anche l’esposizione tramite contatto o inalazione aerea: parte del particolato atmosferico (PM) è costituita da microplastiche.

Si sa ancora molto poco sulla reale tossicità per l’uomo delle microplastiche. La comunità scientifica sta studiando in che modo queste particelle, ingerite attraverso pesci, molluschi, alimenti e bevande o inalate si ripercuotono sulla salute umana: tali inquinanti, secondo i primi studi, possono interferire con il sistema endocrino fino a produrre disturbi o vere e proprie alterazioni genetiche.

In caso di inalazione i danni alla salute sono strettamente correlati alla dimensione delle particelle e alla loro composizione chimica. Le nanoplastiche possono raggiungere la parte più profonda degli alveoli, passare nel sistema circolatorio e così raggiungere qualsiasi tessuto/organo/cellula del nostro organismo, veicolandovi le sostanze tossiche assorbite nell’ambiente e gli additivi utilizzati nei materiali plastici.

Il comparto alimentare, seppure sia quello che desta maggiore allarme, non è l’unico in cui si riscontra la presenza di microplastiche: è noto come il settore della cosmesi e i produttori di prodotti per il make-up immettano microplastiche nei trucchi, nei detergenti per la pelle, nei dentifrici, nelle creme da barba (UNILEVER PLC, JOHNSON & JOHNSON)

Anche sul fronte della produzione di microplastiche vi sono delle sorprese.

Il rilascio di tali particelle nell’ambiente non è dovuto solo ai rifiuti di plastica: anche le fibre dei tessuti sintetici (il cui consumo nel settore dell’abbigliamento rappresenta il 61% della domanda di fibre a livello globale) sono una fonte significativa di microplastiche. Le fibre di plastica, come poliestere, acrilico e poliammide, vengono “erose” attraverso i lavaggi e poi drenate nei sistemi idrici. La Norwegian environment agency ha rilevato che ogni indumento, a ogni singolo lavaggio, rilascia fino a 1.900 fibre sintetiche. Le emissioni di microplastica nelle acque del lavaggio di indumenti rappresentano il 35% di tutte le microplastiche in acqua.

Persino viaggiare in auto contribuisce a diffondere nell’ambiente microplastiche. La parte esterna dello pneumatico è costituita da polimeri sintetici mischiati a gomma e altri additivi: lo sfregamento degli pneumatici sull’asfalto durante la guida produce quindi microplastiche che vengono trasportate negli ambienti marini dall’azione del vento e dalle piogge.

È evidente, da questi esempi, come le microplastiche siano diffuse e presenti in ogni aspetto della nostra vita quotidiana, senza che ne abbiamo piena consapevolezza.

Di fronte a questa emergenza quali studi e quali misure si stanno adottando per garantire la sicurezza dei cittadini? Quali norme si stanno disponendo per arginare e prevenire questa diffusione?

A livello europeo, nel 2017 la Commissione europea ha invitato l’ECHA a valutare le prove scientifiche per l’adozione di un’azione normativa in riferimento alle microplastiche aggiunte intenzionalmente ai prodotti.

Le microplastiche vengono intenzionalmente aggiunte non solo a cosmetici ed esfolianti, ma anche a fertilizzanti, prodotti fitosanitari, detergenti industriali e per la casa, prodotti per la pulizia (PROCTER & GAMBLE CO, HENKEL AG & CO.), vernici e prodotti utilizzati nell’industria petrolifera e del gas.

Nel gennaio 2019 l’ECHA ha proposto l’ampia restrizione delle microplastiche nei prodotti immessi sul mercato UE/SEE per evitarne o ridurne il rilascio nell’ambiente.

Da marzo a settembre 2019 è stata organizzata una consultazione sulla proposta di restrizione, che impedirebbe il rilascio di 500.000 tonnellate di microplastiche nell’arco di 20 anni. Successivamente sono stati raccolti i pareri del comitato per la valutazione dei rischi (RAC) e del comitato per l’analisi socioeconomica (SEAC): alla luce di questi la Commissione dovrebbe elaborare la propria proposta per modificare l’elenco delle sostanze soggette a restrizioni e dare via libera all’iter di approvazione del provvedimento.

La Commissione, nell’ambito della strategia sulla plastica e del nuovo piano d’azione per l’economia circolare, sta valutando inoltre altre opzioni per ridurre i rilasci di microplastiche formatesi accidentalmente nell’ambiente acquatico.

In Italia dal 1° gennaio 2020 è vietato mettere in commercio prodotti cosmetici da risciacquo ad azione esfoliante o detergente contenenti microplastiche.

Si sta cercando, inoltre, di portare avanti un disegno di legge per vietare le microplastiche nei cosmetici che, però, è fermo alla Camera da due anni. Intanto il nostro Paese, dopo l’obbligo di utilizzo di sacchetti biodegradabili in tutte le attività commerciali, recependo una Direttiva europea ha messo al bando la plastica monouso (cannucce, posate, piatti, ecc.). Fronti che hanno conosciuto l’impegno della Federconsumatori in termini di proposta, monitoraggio e sensibilizzazione.

Questi piccoli passi avanti, però, non rispondono ancora in maniera completa ed esaustiva all’emergenza in corso. Per mettere in atto un vero cambiamento è necessaria una maggiore consapevolezza del problema e l’adozione da parte di tutti di strategie efficaci per contrastarlo.

Produzione sostenibile da parte delle imprese, consumo consapevole dei prodotti da parte dei cittadini, leggendo etichette e INCI di detergenti e cosmetici, ma anche riduzione degli imballaggi e maggiore attenzione alla biodegradabilità dei materiali.

Al cittadino spetta quindi un ruolo di primo piano: le sue scelte ed il suo impegno potranno fare la differenza, a partire dal riciclo.

La plastica riciclata in Europa copre oggi poco più del 6% del mercato. Secondo gli obiettivi e gli impegni assunti, entro il 2030 tutta la plastica in Europa dovrà poter essere riciclata. Questo potrebbe, secondo il documento “A european strategy for plastics in a circular economy”, portare alla creazione di 200mila posti di lavoro. 

Una strategia che apre le porte ad una nuova economia circolare delle materie plastiche, che dovrà vedere governi ed istituzioni comunitarie impegnate nel promuovere investimenti, opportunità di innovazione, competitività e occupazione nel settore.

In questo cambiamento nessuno si può tirare indietro: le istituzioni e le associazioni che rappresentano gli interessi ed esprimono i bisogni dei i cittadini, come la Federconsumatori, avranno l’importante compito di innescare il cambiamento culturale alla base di tale processo.

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