di Tania Scacchetti, Segretaria Confederale Cgil Nazionale
“Maggiore è la rappresentanza delle donne ai livelli più alti dell’azienda, maggiore è il miglioramento delle prestazioni dell’azienda”
Pare essere questa la conclusione a cui arriva un recente studio di Goldman Sachs Asset Management.
Una conclusione che a prima vista potrebbe sembrare sorprendente ma che in realtà viene confermata da molte altre analisi.
Uno studio della Luiss del 2019 analizza ad esempio la correlazione fra presenza delle donne ai vertici e crescita della produttività e dei salari e indica una delle ragioni nella maggiore propensione o attitudine delle donne a valorizzare competenze e capacità delle stesse donne.
La leadership femminile, indicano altri osservatori, può caratterizzarsi per atteggiamenti quali la “capacità di ascolto”, la ricerca di forme di confronto più “paritarie ed orizzontali” anche oltre le gerarchie, la capacità di valorizzare la “creatività” delle persone, di “coinvolgere” e di “includere”.
In generale si evidenzia, specie nei Paesi del Nord Europa, anche una positiva correlazione tra tassi maggiori di occupazione e maggiore parità nel sistema delle “ carriere “ e indici positivi di fertilità.
Ma se è così perché è cosi difficile avere donne ai livelli apicali? Cosa rende così complicato il superamento del tetto di cristallo?
Intanto è bene essere consapevoli che nel nostro Paese è ancora una questione di pregiudizi. Il 40% della popolazione, secondo l’ultimo rapporto di genere presentato in Parlamento, non ritiene che la condizione delle donne sia un metro di misura della democrazia del Paese. Ancora quasi la metà della popolazione pensa che occuparsi di figli e anziani sia un compito prioritario delle donne. Ancora le giovani donne sono mediamente più istruite e più capaci ma quando si occupano lo fanno con incarichi spesso inferiori ai loro titoli di studio o in riferimento alle loro competenze.
Poi c’è un tema di modelli aziendali: ancora troppo spesso quello su cui si viene “misurate” e “valutate “ è la disponibilità temporale.
Se vuoi arrivare “in alto” devi esserci sempre, devi sacrificare il “resto” e quindi di fatto devi assumere un modello maschile.
Non esiste quindi una ricetta, una unica misura che rende percorribile una strada diversa, quella che appunto porta alla parità nelle opportunità.
Per facilitare la crescita della leadership femminile servono, quindi, alcune cose: innanzitutto strutture e strumenti di supporto alle famiglie, in secondo luogo politiche di gestione delle risorse improntate su logiche non esclusivamente improntate alla totale disponibilità al lavoro, poi ancora serve l’ottica della economia della cura , liberandoci dalla idea che occuparsi delle persone, figli o anziani che siano non sia una grande questione sociale e collettiva, non un tema da relegare alla informalità e alla responsabilità dei singoli. Infine occorre operare per un cambiamento radicale nella mentalità e nei comportamenti collettivi.
Anche il Sindacato, con una contrattazione attenta alla ottica di genere, può favorire il cambiamento.
Contrattare i giusti inquadramenti, determinare meccanismi di valorizzazione, certificazione e spendibilità delle competenze, attuare e praticare la democrazia paritaria, monitorare gli effetti su uomini e donne delle parti normative ed economiche dei contratti , superare la logica della conciliazione a favore della condivisione, investire nella occupazione delle donne senza i soliti meccanismi di bonus e incentivazioni, contrastare la logica del reddito delle donne come il secondo reddito e contrastare precarietà e part-time involontario sono alcuni dei terreni di lavoro su cui uomini e donne del sindacato sono chiamati a dare risposte. Se si cambia passo su questi aspetti inevitabilmente le leadership femminili avranno meno ostacoli nell’affermarsi .
Be First to Comment