di Anna Maria Romano, CGIL Toscana, Vice-Presidente di UNI-Europa Finance, esperta di problemi finanziari del CTS OpenCorporation
Il 22 gennaio, la Commissione europea ha pubblicato le nuove linee guida per la stesura definitiva dei piani nazionali per il “Recovery Plan”. Ciò comporta un lavoro e un dialogo aperto con la Commissione per rendere i piani coerenti con gli obbiettivi stabiliti a livello europeo affinchè i piani stessi vengano accolti e finanziati. Al terzo posto tra gli obiettivi complessivi del programma NGEU, ed è questa una grande novità, la Commissione inserisce la parità di genere.
I piani dovranno chiarire, prima di entrare nel merito delle singole misure, quali siano le carenze principali in termini di parità di genere a livello nazionale, come la crisi le abbia aggravate e con quali strumenti intendano affrontare il problema in ognuno dei capitoli d’investimento: transizione energetica, infrastrutture digitali, crescita sostenibile, etc.
Quindi, il tema della parità di genere deve entrare prepotentemente in modo trasversale su ogni recovery plan nel suo complesso.
L’architettura proposta, il livello di supporto, l’equilibrio tra priorità e caratteristiche chiave come l’obiettivo di almeno il 25% della spesa che contribuisca al clima, l’azione e le misure per sostenere l’uguaglianza di genere e la non discriminazione sono tutte necessarie per definire un recovery plan equilibrato. Nessuna esclusa.
Se il senso di ingiustizia per le discriminazioni di genere non bastasse (e par eproprio di no), i numeri ci dicono che la sottoccupazione femminile costa all’Europa 360 miliardi di euro l’anno, ossia mezzo Next Generation EU. Questa baratro non è superabile con un maquillage verbale, inserendo un capitolo “Pari Opportunità” con qualche misura di facciata.
L’idea che ci arriva dall’Europa è diversa e, sulla carta, più potente, in quanto gli Stati che presenteranno i piani di recovery dovranno valutare ex ante come gli investimenti infrastrutturali, energetici, digitali vanno a impattare il mondo del lavoro di uomini e donne, se creano posti e per chi, se agevolano la riduzione del carico del lavoro di cura permettendo alle donne di tornare al lavoro.
E’ chiaro che l’UE ha compiuto progressi significativi verso una maggiore democrazia paritaria a partire dall’elezione di Ursula von der Leyen come prima presidente donna della Commissione europea, dall’entrata in vigore della Direttiva UE sull’equilibrio tra lavoro e vita privata fino alle azioni chiave e agli impegni assunti nel Strategia sull’uguaglianza di genere 2020-2025. Tuttavia, secondo l’ultimo indice sull’uguaglianza di genere dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE), la strada verso il raggiungimento della parità è un cammino lungo ancora almeno 60 anni se procediamo a questo ritmo.
Ma possiamo davvero incolpare Covid19 per averci ulteriormente ritardato?
Questa crisi ha solo risaltato prepotentemente disuguaglianze sistemiche che ostacolano le donne sia nel mondo del lavoro, che nella sfera familiare, in particolare quelle che affrontano molteplici forme di discriminazione. L’impatto della pandemia è stato maggiormente evidente sul godimento dei diritti socio-economici delle donne, in quanto altamente rappresentate nei settori di lavoro fortemente colpiti dalla pandemia come l’assistenza sanitaria, le pulizie, la grande distribuzione, i ristoranti, i caffè e i negozi, il turismo.
Inoltre, le donne sono sovrarappresentate in prima linea nella lotta contro il virus. Nell’UE, rappresentano il 76% degli operatori sanitari, circa il 90% dei lavoratori dell’assistenza all’infanzia e degli anziani e il 95% degli addetti alle pulizie domestiche e degli aiutanti.
“A differenza delle crisi precedenti, in cui i settori dell’edilizia e dell’industria a predominanza maschile sono stati i primi ad essere colpiti, la pandemia ha causato danni considerevoli ai settori dei servizi a predominanza femminile (commercio all’ingrosso / al dettaglio, servizi di alloggio e ristorazione, servizi alla persona, servizi alle famiglie ). Inoltre, l’ampia quota di perdite tra i lavori temporanei, occasionali e informali e l’eccessiva rappresentanza delle donne tra i lavoratori che li svolgono, hanno reso le donne più vulnerabili alla perdita del posto di lavoro e ostacolato la loro parità di accesso all’occupazione e alle misure di protezione del reddito messe in atto in tutti i paesi dell’UE. Ad esempio, in molti paesi, i lavoratori domestici, i lavoratori stagionali, i lavoratori part-time o i mini-jobbers, la maggior parte dei quali sono donne, non hanno avuto accesso a programmi di lavoro a orario ridotto e di licenziamento temporaneo. Infine, le donne sono state le principali vittime del crollo del reclutamento in settori con attività stagionale come il turismo. Ciò aiuta a spiegare la ripresa molto debole dell’occupazione femminile nel terzo trimestre del 2020 dopo la rimozione delle restrizioni di blocco e quando il PIL è aumentato dell’11,5% nell’UE-27”.
EuroMemorandum
Ma anche chi ha usufruito del lavoro da remoto, elemento costante di questo tempo, ha subito discriminazioni, poiché questo che è stato interpretato per le donne come strumento di conciliazione con il ruolo di cura. Il retaggio culturale che ci vede come soggetto prevalente, a volte persino unico, nella cura si è ampliato in questa pandemia con il venire meno anche dei servizi di welfare già endemicamente carenti in precedenza.
Inoltre, e di assoluta importanza, ha portato ad un forte aumento della violenza di genere e in particolare della violenza domestica, nonché alla riduzione dello spazio per i diritti delle donne.
Quello che in più abbiamo visto come risultato del Covid19 è che i diritti delle donne escono dall’agenda politica in molti Stati come risposta al tentativo per rispondere alla pandemia.
Per reagire ai contraccolpi sui diritti delle donne, le organizzazioni della società civile dovrebbero intraprendere le azioni necessarie sia a livello nazionale che dell’UE per garantire che siano in atto meccanismi di responsabilità adeguati e che la promozione dei diritti e dell’uguaglianza diventi un prerequisito per accedere ai fondi dell’UE. È fondamentale garantire l’adozione di un duplice approccio: azioni mirate per l’uguaglianza di genere e integrazione della dimensione di genere in tutti i settori politici.
Il piano di ripresa dell’UE si concentra principalmente sui settori dominati dagli uomini. Se vogliamo creare occupazione dove è necessario, dobbiamo mettere al centro l’uguaglianza di genere, strumenti concreti per il superamento del gender gap, freno all’economia e alla democrazia di fatto.
Le soluzioni possibili sono molte, basta volerle adottare. Poiché l’immissione di liquidità e la finanza ci dicono di voler contribuire ad essere un driver della ripresa, alcuni esempi sono: quote di prestito specifiche per le aziende gestite da donne (che soffrono, al contrario, di un dimostrato Gender Bias- vedi studio BCE) o piani di implementazione della parità per le aziende che ricevono aiuti di Stato. I soldi devono diventare uno strumento di eguaglianza e non il mezzo per perpetrare l’eterno sistema di disparità, accentuando disuguaglianze già esistenti.
“I governi dovrebbero concentrarsi sui settori duramente colpiti che impiegano un gran numero di donne, nonché su misure che aiutano a ridurre il deficit di competenze delle donne e rimuovere le barriere pratiche al loro accesso al lavoro”
ha detto Valeria Esquivel, un’alta funzionaria dell’OIL, Dipartimento per le politiche dell’occupazione e l’uguaglianza di genere.
Ma per fare tutto ciò, le donne devono essere dove si decide: non si possono prendere decisioni che riguardano il 50% della popolazione senza includere le donne stesse nella definizione dei progetti e delle scelte.
I soldi del recovery saranno tanti e se davvero devono servire per modificare un sistema basato sulle ineguaglianze come quello che ci ha portato fino a qui è necessario garantire una prospettiva di genere in tutte le aree di finanziamento e adottare una lente di bilancio di genere in tutti i programmi, compresi obiettivi concreti, traguardi, impatto di genere ex ante valutazioni, indicatori (ossia l’indice sull’uguaglianza di genere dell’EIGE), cicli di revisione regolari, monitoraggio e meccanismi di correzione e attingendo a dati disaggregati per sesso, per modulare e rimodulare le politiche e gli effetti che i fondi possono avere sulle donne. Ed inoltre, per superare il gender gap retributivo è necessario rendere trasparenti le retribuzioni.
Dobbiamo togliere il genere e la famiglia dalla ghettizzazione tra i temi delle agende economiche e politiche ed integrarli in modo organico in ogni processo decisionale: le azioni che saranno intraprese per superare la crisi e oltre, sono un’occasione irripetibile per creare una vera Nuova Generazione Europea. Ora o mai più.
Su questi temi in particolare, ci permettiamo di suggerire la lettura del capitolo dell’”Approccio femminista al Care e Green Deal Europeo” dell’Euromemorandum in cui si delineano proposte concrete sulle scelte politiche-economiche della UE in favore del riequilibrio di genere.
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